In un eccellente post Luciano Pignataro evidenzia l’uso attuale, a sproposito, della parola guerra per definire quello che stiamo vivendo. Se ci fate caso la pandemia Covid-19 è in molti casi tradotta in linguaggio bellico (medici in trincea, il fronte del virus, economia di guerra). Il ricorso alla metafora bellica è persistente e diffuso nel lessico dei vari governatori imperatori (local e social) e dei pittoreschi sindaci nonni, perché quel lessico attutisce spinte di insubordinazione rendendo tutti più obbedienti e accondiscendenti, secondo logiche nazionalistiche e di conflitto (dicotomia “nemico/amico”), contesto che legittimerebbe misure autoritarie. A quale scopo ? Quello di difendere uno status quo e uno stile di vita ormai giunto da tempo al capolinea, cercando di mantenere il consenso e nascondere, dietro a una mascherina, scelte politiche infette e la delega costante della definizione delle regole che la politica ha fatto ai burocrati e alle innumerevoli commissioni, per mancanza di idee, incapacità o convenienza, e sopratutto senza mai assumersi le responsabilità. È ormai chiaro a tutti l’insostenibile pesantezza della burocrazia italiana che ha reso il terreno poco fertile per qualsiasi tipo di attività.
Tutto questo avviene mentre la parte viva della società civile discute secondo una logica universalistica di ripensare e riprogettare il nostro sistema di valori, nella consapevolezza che adesso abbiamo bisogno urgente di un’idea di unità e una visione condivisa di obiettivi e misure, e non di chiusure o nuovi confini e tanto meno di una elefantiaca burocrazia e mole normativa.